Introduzione di Antonio Spadaro S.I.
Può la parola registrare «colonne sonore»?
Questo ne è un tentativo. Le pagine che seguono vivono in quella sala di incisione che è la stessa vita quotidiana, fatta di momenti di gioia, di dolore, di noia, di affetto, di sentimentalità e di asprezze. Tutto questo oggi più che mai è accompagnato da colonne sonore che fanno da sfondo, da accompagnamento, da culla, da amico,...
L'occasione della pubblicazione di queste tracce sonore è il 120° anniversario della fondazione dell'Istituto "Pontano" di Napoli. Per festeggiare un simile avvenimento sono necessarie accademie, celebrazioni, ricordi,... ma il Pontano sente anche l'esigenza di esprimere quella parte di sè più quotidiana e concreta: il mondo dei suoi studenti, il mondo reale, le loro passioni, le loro risonanze. Ecco l'idea di pubblicare queste pagine: un omaggio ai nostri giovani e una occasione di riflessione per loro e per i più adulti.
Le parole che presentiamo vogliono essere le linee musicali, i solchi lasciati dalla vita fra le tracce del CD, le colonne sonore del grande film dell'esistenza dove le immagini non possono essere trash ma sono vive e rumorose. I ragazzi oggi avvertono la musica come «colonna sonora» della loro esistenza e la sala di incisione spesso sono i diari, da Linus e Smemoranda, a quelle meno firmate e più personalizzate, agende che da luogo per «segnare i compiti» diventano luoghi di riflessione, di sentimentalità, di confidenza, di vita reale. Ecco allora l'idea nata tra le aule del Pontano: invitare i giovani a «registrare» quei testi musicali che sono entrati a far parte della loro vita e dire in un atomo di emozione, in un frammento, quel momento di vita che le note hanno fissato e fatto emergere. Sì, certamente, l'invito può essere inteso come «diaristico», ma nel senso che dicevamo sopra, considerando il diario come luogo di incontro delle esperienze vissute o desiderate, il reperto scritto di quanto il silenzio scolastico non riesce a dire.
Il terreno su cui il nostro libretto innesta le proprie radici
è in realtà ben fertile e produttivo: la musica. I greci (e Alceo già nel VI sec. a. C. ce ne dà notizia) nella loro mitologia conoscevano un «cantautore» di nome Orfeo, che con le sue note faceva muovere le querce, ammansiva le belve e arrestava il corso dei fiumiÉil potere delle musica! Ma il miracolo più grande fu la sua vittoria sulla morte per riportare in vita la moglie Euridice. Virgilio si ricorda di Orfeo nelle Georgiche e così Rilke, Dino Campana e tanti altri. Poesia, romanzo e musica si sono spesso incontrati sulla pagine scritta.
La musica di cui in queste pagine si ode l'eco non è quella punk, dove pochi accordi veloci, distorti e "cattivi" degenerano nel caos nichilista, lugubre e trasandato; non è quella techno dove domina la manipolazione elettronica martellante e priva di spazi melodici. E' invece spazio di scoperta di sè: riesce ad evocare, richiamare, amplificare stati d'animo e situazioni emotive. E' un modo di prendere contatto con la propria interiorità e di filtrare il mondo esterno. La musica che risuona in queste pagine è possibilità di espressione, di comunicazione, veicolo di socialità. I rischi? Certo, consumismo, conformismo, ribellismo, disimpegno, superficialità,...Ma poi, tra i testi dei ragazzi trovo anche questa riflessione: «E' come se avessimo il bisogno di tenere un non so che di "nostro", proprio come i bambini che, dopo aver avuto l'oggetto desiderato, non ci fanno piu caso: quando sei riuscito a prendere ciò che volevi, ti accorgi che infine saresti stato bene anche senza, ma allora che cos'è quel continuo desiderio che non ha mai pace? Non riesco a pensare che la maggior parte delle persone faccia fatica a rinunciare a qualcosa. Evidentemente è proprio l'educazione impartita che ci porta a questo, che ci fa sentire legati a fatti o cose "prive di anima"» (Gaia Fragano).
Se stiamo attenti possiamo avere la fortuna di scoprire umori e rumori, eventi interiori tra gli apparentemente inestricabili fili della vita, tra «le occasioni della vita» che non «stupiscono mai abbastanza nella loro insensata frammentarietà che poi un bel giorno miracolosamente si salda in una sottile e delicata vibrazione che riaccorda e riannoda e uniforma il tono di diversi percorsi» (Pier Vittorio Tondelli, Pao Pao).
L'idea del nostro lavoro è nata leggendo il testo di Tondelli dal titolo «1985. Radio on» raccolto nel suo volume L'Abbandono. Tondelli cita sette brani musicali, tra i quali Mi ritorni in mente, Acqua azzurrae testi di Guccini, Lolli, De Gregori, Venditti, Dalla, Bertoli, che gli avevano insegnato la concentrazione e l'intimità. Lo scrittore di Correggio fa vivere intimamente gli atomi sonori che cita, immergendoli nella propria personalissima esperienza di vita. La lettura di Tondelli ha mosso il desiderio di esprimersi, liberamente ispirandosi alle sue pagine.
Allora la domanda: cosa facciamo qui? Letteratura? Sociologia? Non vogliamo di certo rientrare nel novero di quei volumi di giovani e giovanissimi «scrittori» oggi molto presenti sul mercato. Il nostro è un lavoro di «scuola», un «compito in classe», se è possibile prendere in prestito quest'orrida espressione evocatrice di funesti spettri. Nulla di più. Anche se, forse, in questo modo verremo a contatto con qualcosa di intensamente coinvolgente: la consapevolezza di «armoniche frequenze», come terreno di discernimento di lettura della vita.
Tondelli in una versione del suo lavoro teatrale Dinner Party così fa esprimere il personaggio Didi, figura del suo autore:
«Io vado con l'orecchio. Cerco semplicemente di far sì che le parole mute della pagina diffondano il loro suono la loro voce. Così che si crei un ronzio cerebrale, che è la musica della pagina, il suo ritmo. Io cerco il ritmo, la musica dei miei anni; cerco di avere una frase che si possa cantare in testa: sì, cantare, la stessa identica cosa. Io faccio musica con le mie parole. Per questo, le cerco. Le cerco, ma chi ti ascolta per una parola? Chi è capace di vivere per il suono di una parola?».
Tondelli esprime un tentativo di lettura consapevole della ricerca degli strumenti con cui rendere possibile un linguaggio e una pratica di scrittura: «il testo diventa una questione di ritmo, si capisce subito: finché c'è swing dura, non finisce. Gli stessi personaggi vengono definiti come «intensità emotive» e «cortocircuiti di sound».
E' questa anche la lezione di Kerouac e della sua lingua «non libresca e non burocratica»: «lunghe pagine senza punteggiatura, ricordi del passato mischiati a una narrazione del presente. Brani di canzoni rock, motivi musicali, cadenze dialettali». Kerouac ha avvicinato la pagina scritta ai ritmi della musica urbana e metropolitana, scrivendo come se componesse musica. Ecco la vera lezione: «Sentirsi alla macchina da scrivere come alla tastiera di un pianoforte, suonando il jazz».
In una intervista dell' '85 su Fare Musica Tondelli dichiarò: «Sento che per me scrivere è come cantare, è il mio modo di far sentire la mia voce e di cantare». E ciò lo fa sentire vicino agli echi letterari di un gruppo come gli Smiths (Joyce, Dylan Thomas, Sartre, Musil, Genet), fino alla passione per la "poesia" di Bob Dylan, Joan Baez, dei Beatles, di Jim Morrison e Patty Smith. Di questo Tondelli è convinto: «Il bisogno di poesia, bisogno assoluto e struggente negli anni della prima giovinezza, è stato soddisfatto da intere generazioni mandando a memoria parole e strofe di canzoni: ballate pop, testi psichedelici, neofuturisti, intimisti, sentimentali, onirici, politici, ironici, demenziali».
Veniamo all'oggi
La comunicazione, sempre più a collage e frammentata, avviene attraverso molti mezzi e una delle questioni principali sollevate dalla scrittura giovanile è rappresentata dalla sua intimissima fusione con i linguaggi di cinema, arti visive, fumetto, video e soprattutto della musica: «penso dunque suono», recita un inserto del mensile Smemoranda. In questo clima multimediale i «generi» sono saltati e mescolati trasversalmente. Spesso la canzone ha preso il posto della poesia, esaltando i valori fonici ed espressivi, la rapidità dei passaggi, un linguaggio spezzato, veloce, fatto di emozioni violente, di contrasti insoliti, sintetico e allusivo. Edoardo Sanguineti lo ha ribadito di recente, componendo i versi di un'opera intitolata Rap: Sanguineti considera il rap «un godimento verbale» in grado di «riaprire la vecchia questione sui rapporti tra il poeta e il musicista» e rimane affacinato dalle sue «caratteristiche di replicazione, allitterazione, rime, giochi di parole».
Nel vulcano espressivo dei linguaggi e dei generi anche le regole della costruzione del testo possono diventare flessibili. Per quanto riguarda la sintassi possiamo citare la «lezione» di Palandri, il quale nel suo Boccalone scriveva: «Devo riuscire a rompere la catena grammaticale legata alla prima persona e ai tempi passati [...] mi servono modi e costrutti sintattici di movimento, che mostrino la confusione dalla parte della confusione [...] credo sia utile evitare le decisioni, trovare i buchi nell'ordine del discorso e di là far scappare il senso, la costruzione della frase; la lingua ha dei punti deboli nel gusto, come la ripetizione ad esempio, in cui musicalità e senso divergono fino a trovarsi su due fronti antitetici. I poeti rock si differenziano dai "poeti ufficiali" perché possiedono un'anima «eccentricamente viva e pulsante». Ritroviamo così il tema della letteratura emotiva e "di potenza", che ha sempre caratterizzato la scrittura tondelliana dall'inizio:
«Tornai alla mia scrivania. Guardai il foglio bianco già in macchina. Battei meccanicamente qualche tasto, ma non riuscii a concentrarmi. Che me ne importava di quell'articolo? era roba vecchia ormai. Scrissi il mio nome lentamente, un tasto dietro l'altro, poi lo riscrissi, e poi ancora finché la macchina cominciò a carrellare velocemente e le mie dita spedite batterono i tasti con furia e il ticchettio della macchina, sempre più veloce e ritmico, tasti, spaziatore, carrello, tasti, tasti, interlinea, spaziatore, divenne musica, la mia musica, il canto».
La scrittura viene trasfigurata in sound, in codice sonoro, sapendo che la «musica è ancor più scavante di altre e più ricca di immagini». La vera aspirazione di questo frantoio linguistico è quella di allontanarsi da un linguaggio fatto per far conoscere e di essere un linguaggio di potenza e di forte carica emotiva. Si distingue con Thomas de Quincey una «letteratura di conoscenza», che insegna e una «letteratura di potenza», emotiva, che commuove: noi ci poniamo nel territorio di quest'ultima.
A conclusione di questo impegno «di potenza» un ringraziamento va al Rettore del Pontano, il P. Clemente Russo, molto sensibile a tutto ciò che proviene dal mondo dei giovani e che appartiene al tessuto della loro vita. Un grazie all'entusiasmo di Emilia Crasto, con la quale si è stabilita una sintonia e una collaborazione decisiva, un grazie ancora alla disponibilità di Maria Merone.
Francesco Sorrentino
Alessandra Chessa
Assia di Carluccio
Daria Valletta
Monica Balsamo
Federica D'Auria
Valeria Macchia
Maria Grazia Greco
Sonja Mancini
Roberta De Luca
Laura De Sio Cesari
Mariolina Lettieri
Gaia Fragano
Silvia Passalacqua
Danilo Nicolay
Valeria Vitolo
Anna Esposito
Maria Di Palo
Federico Campione
Fabrizia Esposita
Fiorenza Rijllo
Manuela Macchione
Francesca Di Pietro
Salvatore Nicosia
Chiara Oliviero
Francesca Setola
Rachele Bombace
Ilaria Carloni
Angela Limosani
Ada Favarolo
Caterina Barbuto
Serena Lettieri
Olimpia Simonetti
Camilla Sorbo
Simone Squillante
Valeria Cerqua
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