Il Piccolo, 17 febbraio 2002

SCRITTORI Esce una biografia di Antonio Spadaro

Nelle storie di Raymond Carver c'è il mistero della quotidianità

di Pietro Spirito

È considerato il padre del minimalismo, il capostipite di una generazione di narratori votati all'essenzialità espressiva, attenti a cogliere gli intrecci della quotidianità, le incidenze e coincidenze di vite minime e interni domestici. In realtà Raymond Carver fu scrittore complesso, mosso da ansie metafisiche, che nei materiali del quotidiano esplorava le possibilità di uno sguardo sincero e spietato sul mondo. E soprattutto, come ogni autentico narratore, Carver viveva e scriveva nella consapevolezza profonda che la letteratura «è una reale questione di vita o di morte», e la sua prosa, la sua poesia, nascono dallo spaesamento esistenziale, dalla paura della morte, dal bisogno «di comunicare in modo sincero, di essere amato e salvato».

Nella prima monografia italiana dedicata allo scrittore americano Antonio Spadaro, gesuita e critico letterario della rivista «Civiltà cattolica», esplora l'universo carveriano cercando di cogliere non solo lo spirito dello scrittore, le sue inquietudini, le sue angosce e le sue speranze, ma anche le tracce di una sacralità, di una religiosità che secondo Spadaro percorrono tutta l'opera carveriana, sia in prosa che in versi. Spadaro parte dall'assunto che molti scrittori (tutti?) sostenuti da ansie e tormenti metafisici consciamente o inconsciamente finiscano prima o poi per approdare dalle parti del sacro, per quanto contrario e controverso possa essere il loro percorso esistenziale e artistico. Tesi suggestiva, già ampiamente dimostrata con lo scrittore «maledetto» Pier Vittorio Tondelli e ora messa di nuovo alla prova con «Carver - Un'acuta sensazione di attesa» (Edizioni Messaggero, pagg. 111, euro 9.50, con un'appendice di Tommaso Avati).

Il punto di partenza del critico resta l'idea di scrittura come redenzione e riscatto, un'esperienza spirituale forte dove la fiducia nella parola diventa «lo strumento per una più completa ricognizione della condizione umana». Parola come mezzo e non come fine, beninteso, perché una ricerca autoreferenziale, finalizzata alla parola in sé e non al mondo che questa intende esprimere, diventa ostacolo alla stessa scrittura: «Carver aveva (...) capito che per raccontare davvero la sua gente (avrebbe dovuto) fare proprio il modo di vita di quella gente (...) assumere lo stesso sguardo e atteggiamento».

L'intenzione profonda di Carver è dunque «di descrivere la realtà quotidiana e l'azione per svelare un mistero o almeno sentirne la presenza». Analizzando i racconti e soprattutto le poesie (non senza tralasciare la delicata questione del pesante lavoro di editing eseguito sui suoi racconti), Spadaro individua una serie di istanze proprie del sentire religioso: speranza, fiducia, ascolto, rivelazione, mistero, attesa, citazioni bibliche e persino, nel racconto «Una piccola, buona cosa», una parabola «che ricorda il battesimo e l'eucarestia». Sostenuto da critici come W.L. Stull Spadaro in definitiva coglie nell'opera di Carver un «religious undercurrent», una corrente sotterranea che gira insistentemente attorno alla «questione religiosa» e sostiene una scrittura segnata dalla «bruciante capacità di porsi in relazione alla vita, ai fatti, agli oggetti, alla realtà».