da AVVENIRE - Mercoledi 12 Dicembre 2001
ANNIVERSARIO Sabato a Correggio il decennale della scomparsa dello
scrittore. Che fu religioso, ma non «cattolico»
Tondelli: né monaco né libertino
di Fulvio Panzeri
Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Pier Vittorio Tondelli, lo
scrittore emiliano che è stato l'autore di punta durante gli anni Ottanta e
la cui lezione è stata fortemente intuita negli anni Novanta da un gran
numero di lettori, in parte soprattutto giovanissimi, che si riconoscono
nella sincerità diretta della sua scrittura.
Infatti, a dispetto dell'oblio che accompagna sempre la scomparsa di uno
scrittore in Italia, nel caso di Tondelli è avvenuto un processo inverso,
tanto che lo scrittore ha ottenuto, postumo, tutti quei riconoscimenti,
anche sostanziali, che in vita gli sono mancati. Grazie anche al tam tam dei
lettori, la sua opera ha avuto una significativa forma di visibilità e di
ricezione. Più che l'aspetto letterario, i giovani lettori ricercano in
Tondelli una forma di amicizia e di parola rivelatrice del proprio percorso
di crescita e trovano nei suoi romanzi la voce di uno scrittore che ha
interpretato quella difficile forma di spaesamento che si pone tra le
istanze interiori e l'inquietudine di un compromesso con la realtà.
Un ventenne di Rovigo, Mattia Signorini - autore anche di alcuni racconti
che hanno vinto la seconda edizione del Premio Tondelli assegnato, con
quello alle tesi di laurea e ai saggi critici, durante la giornata di
ricordi e testimonianze che si svolgerà sabato 15 dicembre a Correggio,
paese natale di Tondelli - ha ben delineato in uno scritto, pubblicato nel
libro-intervista Tondelli. Il mestiere di scrittore (Bompiani) il rapporto
tra le nuove generazioni e l'opera di Tondelli. Dopo aver precisato i suoi
desideri generazionali («Gli schemi lasciamoli ad altri noi siamo i
pellegrini delle parole, siamo gli istintivi che non hanno voglia di
ascoltare le catechizzazioni degli esperti, che non vogliono rinchiudere e
inglobare pagine di dolore e poesia nelle linee interpretative che
echeggiano nelle aule delle università») intuisce Tondelli come «la figura
duplice di uno scrittore che prima di tutto era un uomo, e buttava via la
vita, non le filosofie, non le favole, lui buttava la vita a stropicciarsi
nelle pagine, a combaciare con i segnalibri, la sua vita sotto gli occhi dei
lettori, e ai lettori, nello stesso momento, diceva "Lasciatemi stare"».
È questo il dato più significativo da rilevare nella ricezione di uno
scrittore intorno al quale è cresciuto una specie di «culto», spesso
costellato anche da polemiche, fraintendimenti, letture di superficie, uso
improprio della sua lezione, come quella che è stata fatta da certa editoria
in cerca di credibilità per autori, scelti da Tondelli per le antologie
«Under 25», in continua fase discendente nel proprio apprendistato
letterario.
Uno dei temi più discussi in questi anni è stato anche quello della
religiosità di Tondelli, da noi messo in rilievo, all'indomani della morte
dello scrittore, proprio su queste colonne, come uno degli aspetti cardine
della sua ricerca esistenziale, che a 10 anni di distanza vanno precisati.
La religiosità di Tondelli è un tema che percorre timidamente la sua opera:
lo scrittore emiliano non ama parlare apertamente della questione religiosa
nei suoi libri. È più una dimensione che gli interessa dal punto di vista
esistenziale. Infatti troviamo un uomo che è affascinato dal «nomadismo» tra
le religioni di uno scrittore dimenticato come Carlo Coccioli e, senza
giungere alle sue scelte drastiche, interroga apertamente vari riferimenti,
dalla religione cattolica, in cui è nato e in cui è cresciuto, alla
tradizione ebraica e orientale, alla ricerca di quell'assoluto che spieghi
il valore dell'esistenza e l'insostenibilità di quel profondo disagio o
frattura, derivante dalla cognizione della propria solitudine, pur se
immersa nel frastuono delle luci e dei suoni rock o blues degli scintillanti
anni Ottanta.
Così il suo riavvicinamento, negli ultimi mesi della malattia, ai sacramenti
e alla pratica cristiana, è un momento che segna la sua esperienza
personale, identificando quel bisogno di una rivelazione forte che viene
intuita in quel doppio ruolo, tra memoria e profezia, nel suo ultimo
romanzo, Camere separate. La stampa ha sempre letto, in questi dieci anni,
in modo scandalistico e provocatorio le analisi riguardanti questo tema,
giocando sulle dicotomie del «libertino» e del «monaco» che sono due aspetti
che attraversano l'opera di Tondelli, pur non essendo in contraddizione. O
non intuendone l'autore la forma di paradosso. È chiaro che Tondelli non ha
mai voluto essere uno scrittore cattolico, bensì un intellettuale al quale
interessava molto approfondire i temi della spiritualità, come parte
dell'avventura umana.
Il Tondelli che ho conosciuto era un uomo schivo, riservato, molto gentile,
ironico, a volte sarcastico, curioso di tutte le nuove tendenze postmoderne,
con un rammarico, quello di non trovare, nell'indifferenza un po' gonfia, da
«fiesta continua» degli anni Ottanta, una forma di dialogo sugli aspetti
riguardanti il religioso. Cercava una forma di libertà anche in questo,
tanto che nell'intervista - ripubblicata nel volume sopra citato - aveva
precisato: «A un mio amico prete ho detto che volevo approfondire da un
punto di vista intellettuale il cristianesimo, così come ho approfondito nel
passato aspetti riguardanti le religioni orientali. Ho aggiunto anche: "Ma
io non voglio diventare uno scrittore cattolico. O essere etichettato in
quanto tale. Assolutamente no". E lui mi ha risposto: "Se così fosse ti
toglierei il saluto"».
L'aspetto religioso è uno dei tanti temi che attraversano l'opera di
Tondelli, accanto a quello del viaggio come ipotesi di scoperta, a quello
dell'abbandono come ferita esistenziale, a quello della scrittura e della
lettura come fonte di conoscenza, soprattutto interiore. Non può diventare
una forma «interpretativa» tout court della sua intera opera, perché la
snaturerebbe nel tentativo di giustificare quelle che possono apparire
evidenti contraddizioni. Tondelli, del resto, non era uno scrittore a cui
piacevano i passaggi repentini e gli improvvisi cambiamenti di rotta.
Preferiva atteggiamenti di apertura, in attesa di una possibile forma di
grazia come lui stesso ha detto: «Voglio riflettere su ciò che il
cristianesimo ha dato all'uomo, alla civiltà, alla cultura. Poi non so se
finirò come Coccioli da una religione all'altra. Il destino fa parte di un
percorso personale che inizia quando uno nasce e viene influenzato
dall'educazione che ha ricevuto. Si può dire: "Quest'esperienza è finita".
Poi tutto è rimesso in gioco, a seconda di quello che capita nella vita. Si
tratta di avere una disponibilità, di mantenere un'apertura...».