Recensione/Intervista del Corriere della Sera
A che serve leggere un romanzo o
una raccolta poetica? Anzi:
a cosa «serve», in generale, la letteratura? Che farsene di
parole scarse, e forse senza
sole (S. Penna) o di
qualche storta sillaba e
secca come un ramo (E.
Montale)? E' tutto qui il senso e il peso specifico della
letteratura? Sarebbe essa dunque del tutto inabile ad aprire
l'orizzonte verso mondi di significato? In realtà, se non si
confronta con le tensioni radicali di una vita umana, la letteratura
non «serve» a molto. Se un'opera di poesia o di narrativa
non tocca queste tensioni è come un «cembalo che
tintinna».
Essa infatti riguarda la
vita: «Mi interessa la poesia che parla di grandi questioni,
questioni di vita e di morte, sì, e la questione di come stare
al mondo» (R. Carver). La letteratura può rivelarsi un
«cruento atto esistenziale» (B. Cattafi) che vive nello
spazio di un ring. Con il
testo, sia l'autore sia il lettore, sono cordialmente invitati a fare
a pugni.
A cosa serve, dunque, questo
saggio? A provare un
bozzetto della letteratura. Non intende essere un trattato, ma una
sorta di «cantiere» che vuole offrire materiali per la
riflessione e l'approfondimento. L'unico tratto marcato dovrebbe
risultare il seguente: la letteratura «serve»
fondamentalmente a dire la nostra presenza nel mondo e, come uno
«strumento ottico» (M. Proust), a interpretarla, a cogliere
ciò che va oltre la mera «letteralità» e
superficialità del vissuto.
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